venerdì 31 gennaio 2014

PROGRAMMI CANDIDATI


  

 

 

Programmi dei candidati a rappresentanti della Consulta per l'Arte contemporanea di Roma




Gianluca Brogna

Per una rinascita delle coscienze

 Discutere del ruolo dei linguaggi contemporanei nelle politiche culturali è un dovere a cui le istituzioni e le amministrazioni italiane non dovrebbero sottrarsi nella gestione della cosa pubblica. Purtroppo la carenza di politiche culturali indirizzate alla promozione e allo sviluppo del contemporaneo riverbera direttamente in una presenza debole e marginale nella produzione culturale italiana.

Limitandosi ad analizzare gli interventi prodotti nelle politiche culturali italiane dell’ultimo decennio, le linee guida seguite dal governo centrale e dalle amministrazioni locali sono state, infine, finalizzate alla realizzazione di grandi strutture architettoniche (come gli edifici costruiti per il MAXXI e per il MACRO) non supportate da un adeguato finanziamento in funzione del la gestione delle stesse.
La crisi economica che sconvolge l’Europa da oltre cinque anni non solo ha messo in ginocchio la gestione del sistema culturale italiano e in particolar modo il settore delle arti visive, ma ha portato ad una riduzione drastica del gettito finanziario disponibile per la sussistenza dei musei e di tutte le attività culturali.
Il poco denaro disponibile è stato concentrato soltanto sui grandi progetti e sui grandi spazi, rinunciando a nuovi investimenti per la definizione di luoghi ed eventi  legati con maggiore sintonia al territorio.
Anche il sistema giuridico della “Fondazione” che avrebbe dovuto immettere denaro privato nelle gestione dei musei si è rilevato poco flessibile e legato a contingenze e sponsorizzazioni occasionali creando situazione anomale come quella del MAXXI, totalmente dipendente dal finanziamento pubblico  ma gestito come una fondazione privata.
Sempre maggiore pressione viene svolta, nell’ambito della produzione contemporanea, da soggetti che approfittando di una mancanza di regole chiare e di un controllo forte e risoluto da parte delle stato e delle amministrazioni, può decidere liberamente degli indirizzi delle politiche culturali e influire sulle tendenze e sulle ricerche dei linguaggi contemporanei.
In questa scala di valori gli elementi deboli della catena -  gli operatori culturali del contemporaneo  – sono assolutamente in balia di una deregolamentazione folle e senza controllo ridotti al ruolo di mercenari in una guerra civile nel corso della quale è stata persa la ragione della vittoria.
La Consulta dell’Arte Contemporanea  dovrebbe essere lo strumento di controllo e di indirizzo che dialoga con le istituzioni, e pone alla loro attenzione quali strumenti utilizzare per un’equilibrata gestione delle politiche culturali, soprattutto nell’ambito dei linguaggi contemporanei.
In particolare
-        Risoluzione della questione Museo MACRO con un chiaro piano d’intervento per quel che riguarda le risorse finanziare e quelle umane. Politiche di trasparenza nei finanziamenti e nelle assunzioni del personale scientifico.
-        Creazione di un’anagrafe degli artisti che lavorano nel territorio e il recupero di spazi demaniali abbandonati da destinare a studio d’artista
-        Invitare le amministrazioni locali alla creazioni di fondi d’intervento  per il sostegno degli artisti attraverso bandi, concorsi e residenze.
-        Incentivare, in funzione didattica ed educativa, l’incontro fra gli operatori culturali del contemporaneo  che lavorano sul territorio e le istituzioni dedite alla formazione e alla divulgazione culturale. Implementare l’accesso al sapere non soltanto nella sua variante verticale (dal docente al discente) ma come educatore che si mette al servizio del fruitore (con particolare rifermento alle periferie e ai territori border-line).


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Davide Dormino 

Programma di BONIFICA CULTURALE 

Il mio lavoro di artista non mi porta a vedere le cose in astratto.Ho scelto di candidarmi proprio perché certe mancanze fanno parte della vita quotidiana, le vivo in prima persona,Vedo come la gente cambia senza nutrimento culturale.Vedo come la città si spegne ripiegandosi solo su aggregazioni commerciali.

Partiamo dal basso, parliamo in modo semplice, prima di fare le strategie va spiegato il gioco.
Sono contrario agli accentramenti, penso che siano meglio 5 cinema di una multisala.
Credo che tante piccole cose per tanti siano meglio di una grande per pochi.
Con questo spirito penso alle periferie come ad una opportunità straordinaria per la città.
Dobbiamo mettere in condizione le persone di poter comunicare.
La parte esterna di un organismo é quella da cui iniziare il lavoro per non lasciare zone buie, incontrollate.
La mia idea é di procedere sia tecnicamente che emotivamente.
La tecnica é quella della verifica e del controllo delle aree:
Censimento delle circoscrizioni attraverso il presidente della stessa per conoscere gli spazi vuoti di quell’area, le attività culturali (quante librerie, quanti cinema, quanti spazi espositivi) le attività commerciali piccole o grandi da poter coinvolgere come sponsor per riqualificare la zona.
Emotivamente vuol dire capire le caratteristiche delle singole aree, assecondando la loro natura per costruire “un nuovo” con radici specifiche. Ogni area avrà un sorta di direttore artistico.
Per fare questo penso che dovremmo:
1.Avere un contatto con i singoli amministratori delle aree periferiche
2.Lavorare con spazi che sarebbero bonificati con le attività culturali
3.Fare un'azione di guida per accesso a bandi nazionali ed internazionali
4.Creare una rete in contatto con la consulta e i responsabili di quartiere
5.Lavorare con le scuole usando gli spazi comuni per Opere che abituino i ragazzi a convivere con l'arte
6.Proporre dei gemellaggi non di città ma di zone fra Roma
La mia idea é di muovere le piccole barche più delle navi. I Musei e gli spazi istituzionali saranno costretti a stare ai tempi per non perdere valore nella competizione con la città.
Gli Artisti sono delle cellule staminali.

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Raffaele Gavarro

Il presente abstract fa riferimento e trova completamento nell'articolo "Della Consulta di Roma e della necessità di un impegno dell'arte fuori da sè", uscito Venerdì 24 gennaio 2014 sulla rivista Exibart. 

"Un organismo che non rappresenta, ma che è la comunità delle arti visive a Roma. Uno strumento politico che si rende necessario in un momento storico in cui è richiesto improrogabilmente un impegno all’arte fuori da sé, di uscita dal suo stato di pur necessaria lateralità, che consiste nello stare in un quotidiano tutto suo, tangente al resto ma mai del tutto sovrapponibile a quello più generale. Dico questo perché per molti di noi l’idea di essere inseriti in un contesto collettivo è quasi un’eresia, come lo è prendere impegni fuori da quella che è la propria ricerca e lo sviluppo del proprio lavoro. Ma voglio anche dire che se in questi anni c’è stata una richiesta plurale e condivisa all’arte, è stata quella di tornare a riflettere sui meccanismi sociali e politici in cui agiamo, come anche quella di farsi strumento di conoscenza del mondo stesso. E dunque la Consulta può anche essere intesa come la corrispondenza estrema a questa richiesta, che agirà come uno strumento di controllo etico e di contributo di conoscenza sulle scelte che farà l’amministrazione nell’ambito delle politiche culturali. Fornirà indicazioni in tal senso, mantenendo però una totale indipendenza e cioè non diventando consulente dell’assessore né di altre figure istituzionali, perché evidentemente questo non potrà essere il suo ruolo. Svolgerà invece attività di monitoraggio sul territorio, segnalando necessità e possibilità a chi ha in tal senso funzioni e obblighi istituzionali. Ma avrà anche funzioni di denuncia e di censura pubbliche.
Per la prima volta con la Consulta stiamo creando un nuovo modello di partecipazione alle politiche culturali, che sarà determinato dagli stessi operatori e che lavorerà in stretta relazione con il territorio, e che forse sarà addirittura in grado di ostacolare quei processi di affidamento e di assegnazione (di qualsiasi cosa: incarichi, denaro, competenze, etc.) che sono da sempre basati sugli odiosi meccanismi politico-clientelari, familiari, amicali, salottieri, fino a quelli di natura diciamo più complessa."

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Silvia Litardi

Programma ideale - Dichiarazione di intenti

Nel pieno rispetto degli obiettivi generali della Consulta e del ruolo che si è fissata, il mio apporto ideale programmatico si sviluppa nei temi seguenti:
In primis credo nella necessità di avviare un processo di democratizzazione della  Cultura in cui l’arte contemporanea può porsi come campo privilegiato di guida per sua stessa natura. Tale processo sposta l’attenzione dalla produzione alla fruizione e, in virtù delle indicazioni programmatiche dell’ultima agenda europea (2014-2020), verso i pubblici non convenzionali, in sostanza tutti coloro che, per ragioni diverse, afferiscono difficilmente all’offerta culturale. Implementare il loro coinvolgimento è, oltre ad un dovere morale e civile, una grande occasione per aprire il sistema dell’arte contemporanea, troppo spesso additato come chiuso ed elitario.
In quest’ottica i fruitori non vengono considerati dei consumatori finali, ma dei produttori di senso insieme a tutti gli attori del sistema dell’arte. Tale predisposizione riporta a trattare il Museo, e le istituzioni in generale, come strumento di integrazione nelle quali le collezioni giocano un ruolo fondamentale per la costruzione dell’identità locale o trans-locale. il Museo, e le istituzioni in generale, devono essere inclusive e devono costituire delle zone di contatto.
A tale scopo, credo che l’azione della Consulta possa diventare l’occasione per costituire una piattaforma di pratiche, più che di progetti, la cui pluralità costituisce di per sé un valore di cui le Istituzioni hanno urgente bisogno in quanto premessa alla costruzione di contenuti aderenti all’attualità. Questa impostazione è teoricamente in grado di generare il senso di appartenenza della cittadinanza verso i proprio beni e quindi è in grado automaticamente di difenderli, ripensarli e proteggerli in quanto propri. Questi meccanismi possono essere progettati e pianificati da figure tecniche specializzate in materia, ma la loro azione diventa incredibilmente potente quando si unisce alla visione di artisti e intellettuali.
Credo fortemente che bisogna stare nel proprio tempo per poterlo agire e quello che ci tocca vivere è il tempo dell’urgenza e dell’emergenza; come spesso fanno gli artisti, anche gli operatori della cultura devono mettersi in questa condizione per reagire costruttivamente. Non è forse nel panico del collasso che si ritrova unione e coesione? C’è un’estetica dell’emergenza (cit. Reinaldo Laddaga) che descrive quella mobilitazione di strategie complesse che gli artisti sono in grado di attivare nella società. Ascoltarli, osservarli, collaborare attivamente a questi processi è quanto di più vitale si possa fare!
Il mio title, curatrice indipendente, anche questo autoproclamato!, prevede l’indipendenza e l’autonomia, valori che ritengo fondamentali per tutte quelle figure che hanno un ruolo di connettore tra campi di azione, di potere e di ricerca.Tale autonomia ha un prezzo molto alto, una valenza che va confermata, negoziata e aggiornata continuamente grazie alle afide, alle collaborazioni e agli obiettivi del lavoro quotidiano. Immagino questa stessa predisposizione per un organo come quello della Consulta che, a due anni dalla sua nascita, si trova ad autodeterminarsi nuovamente, elemento positivo che denota il fatto che sia nata da un bisogno collettivo e non da una domanda dall’alto.
Il segnale di queste ultime settimane incarna una continuità nella fiducia che la Consulta agisca per il bene comune. Su questa certezza il mio obiettivo ideale e principale è di avviare una “produzione collaborativa di desiderio” (cit. Henri Lefebvre).

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Laura Palmieri

Perché mi candido per la Consulta Arte Contemporanea.
Cercherò di essere sintetica e con molta umiltà dire le ragioni della mia scelta.
La prima è che siamo noi il motivo dell’esistenza dell’arte.
In questo momento non credo ci sia bisogno di una contrapposizione ma di un dialogo con le istituzioni e soprattutto tra noi e la città. Ci sono interessi specifici che ci riguardano.
Sarò chiara ho sempre lavorato con i gruppi “A regola d’Arte” “Oreste” e varie situazioni collettive, tutte nate dagli artisti, dove si potesse guardare al di là del proprio orticello, questo l’ho imparato a Roma, dove ultimamente si tenta di non considerare la storia e il suo molteplice che ha creato nel tempo un’evidente piattaforma sempre viva tra gli artisti anche molto diversi tra loro, gli artisti che sono stati sempre il motore della città, quindi in maniera realistica bisogna sensibilizzare le istituzioni romane museali e di altro tipo e politiche, ad una maggiore attenzione all’arte contemporanea nel territorio, finirla con la retorica della tutela solo dell’archeologia, che ingenuamente dalle dichiarazioni delle figure istituzionali viene sempre citata come interesse per l’arte in generale. Viene prima l’arte e poi la storia dell’arte.
Soprattutto bisogna ridare centralità alla più importante piattaforma di confronto istituzionale che è il Macro e non dimenticarsi che è la Galleria Comunale di Roma, senza vergogna, si deve occupare di chi vive nel territorio, perché non c’è cosa più provinciale di far finta che sia un museo internazionale, così non lo è. Ed occuparsi semmai seriamente degli spazi inutilizzati soprattutto per gli studi e le esposizioni.
Propongo la mia candidatura da donna in contrapposizione alla tendenza dei miei amici artisti che per una perversione tutta romana sono solo uomini. Penso che per una maggiore rappresentanza delle donne, nel panorama romano e per tutelare la visibilità delle artiste, in comune con altre artiste, abbiamo deciso la mia candidatura. Ritengo che la candidatura Pirri/Kounellis non sia necessaria e soprattutto ci voglia ricambio. E’ importante che vi siano più artisti candidati perché noi saremmo in questo caso rappresentati da altri, sono lieta della partecipazione degli altri artisti. Ma anche le artiste sono tante e non sono rappresentate, perché nessuno degli artisti candidati fin ora si sono mai occupati di noi.

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Alfredo Pirri  Jannis Kounellis

Esserci o non esserci

Abbiamo deciso di aderire alla consulta per l’arte contemporanea di Roma e dare il nostro contributo candidandoci congiuntamente a farne parte, eccone i motivi:

Pensiamo che le istituzioni che, da sempre hanno rappresentato il naturale interlocutore dei movimenti culturali cittadini, che, a volte, si sono addirittura plasmate sui loro modelli e proposte siano, al contrario, oggi, particolarmente lontane da essi e vivano il loro rapporto con la cultura artistica della città attraverso un relazione basata su una sorta di vuoto o mancanza di rappresentazione, particolarmente dannosa e distante dal nostro modo di vivere da cittadini. In particolar modo cittadini coinvolti giornalmente dentro la questione più ampia della rappresentazione intesa come disciplina e pratica artistica, quindi particolarmente sensibili a come tutto questo si possa tradurre in governo della città e pratica politica attiva dei suoi dirigenti.

Scegliere di governare una città attraverso la pratica costante del vuoto vuol dire condividerne e promuoverne quel lato distruttivo che ben conosciamo avendone noi, per primi, e in tutta la tradizione artistica, praticato, in maniere differenti, le forme e i contenuti ma nella consapevolezza piena che, quando è la politica a farsene maggiore portavoce, usando il vuoto come strumento di governo non possano di conseguenza che innescarsi processi degenerativi per tutto il corpo sociale e per la democrazia stessa.

Gli amministratori di una città, in tal modo, diventano fantasmi a presidio del nulla. I palazzi e i luoghi del potere rappresentativo sono ormai luoghi vuoti, da dove i generali sono fuggiti e i rivoluzionari, quando si decideranno a entrarci, non troveranno più neanche quei mobili e suppellettili che un tempo traducevano in forma il potere della politica.

Ridare corpo all’astrazione del potere

Che strano il destino dell’astrazione: Trasformarsi da immagine della ribellione a destino e forma della politica antidemocratica! Il comportamento politico che si sta attuando ovunque è ormai una forma astratta al servizio della tecnica economica e del suo destino mistico in cui non vi è più traccia dell’affermarsi di alcuna necessità pratica. Finanche le amministrazioni locali sembrano incatenate a queste forme delle quali non comprendono più né l’origine né i desideri che le hanno partorite. Gli amministratori si affidano a esse più come filtro rispetto alla realtà che li vorrebbe corrodere che come occasione di ribellione che li vedrebbe uniti alla gente a intraprendere in comune un processo di ricerca di una via che ci possa realmente portare altrove. Per primo la conoscenza di quei luoghi periferici dove si annidano risorse inespresse. Sia luoghi fisici della città sia spazi umani ed espressivi. Il contrario quindi, di quelle visioni disastrose (anch’esse astrattiste) che hanno portato a immaginare l’esistenza di luoghi totalmente privi d’identità umana e culturale, in altre parole luoghi fisici che vedono negato il loro statuto di realtà e diventando spazi persi una volta per sempre alla storia e alla pratica della città intesa come organismo complessivo e armonico. Il risultato di questo pensiero (per fortuna al tramonto) è di concepire una città parcellizzata dove si destinano e caratterizzano alcuni dei suoi luoghi a spazi per eventi (magari creativi) piuttosto che spazi per l’arte temendo che quest’ultima, con la sua tradizione e peso culturale possa tenere lontano il popolo dai suoi rappresentanti politici, (tenuti insieme dal collante indistinto e informale dell’evento) e non comprendendo che, al contrario, è solo laddove ci si confronta con un valore e un peso che cresce la libertà personale e quindi il dialogo aperto con le istituzioni (sia politiche sia linguistiche).

Il potere simbolico dei luoghi si apparenti con quello poetico dell’arte.

Non è casuale che il postmodernismo abbia terminato la sua parabola distruttrice e velleitaria scontrandosi proprio con l’ostacolo maggiore che gli si è posto di fronte: l’azione identitaria di tutti i luoghi (perfino di quelli comuni). I suoi teorici non sono riusciti a dimostrare (o a farci innamorare dell’idea) che un luogo valga l’altro e che quindi ogni spazio vada vissuto in modo astratto e inconsapevole. L’arte è, per prima cosa, rappresentazione e messa in opera del desiderio di spazio e attraverso le sue opere risarcimento per gli sforzi che si compiono in tale direzione. I luoghi e le opere d’arte, sono raccoglitori che mantengono vivo questo desiderio, lo attualizzano e lo rendono vivo. In tal senso, l’arte è un produttore di luoghi, purché s’intenda come tale qualsiasi cosa essa generi, quindi non solo ambienti tridimensionali ma anche opere in superficie o di qualsiasi tipo.
Quest’atto di libertà fondato dall’arte non è secondario, non è apolitico, anzi sprofonda dentro la storia di tutte le ribellioni e se ne fa continuatore.
Così oggi vogliamo rivolgerci alla consulta per prima (cioè a noi stessi) e a quanti governano la città con la speranza che qualcosa (almeno qualcosa) di questa storia venga non solo salvaguardata ma fatta rivivere attraverso la garanzia di un dialogo aperto.

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Filippo Riniolo

cari/e
un malessere attraversa tutta la società italiana e ha un origine precisa: la domanda di
partecipazione, una richiesta diffusa di poter incidere collettivamente sul proprio destino. Al
contempo il malessere si trova nell'inadeguatezza delle risposte, delle formule organizzate di convivenza (che vanno dalle istituzioni alle organizzazioni sociali).
Questo malessere si registra anche nelle persone che si occupano dell'arte contemporanea (non esattamente una comunità).
Il presupposto però è la percezione collettiva di avere un destino comune, la presa d'atto concreta che non si possano ottenere risultati efficaci "coltivando il proprio orticello", non se lo scenario somiglia più ad un deserto.
Occupiamoci di contemporaneo prima e la Consulta dopo, possono essere letti, a mio avviso, come tentativi parziali di rispondere a questa esigenza. Parziali e inefficaci.
Una contraddizione ci si pone davanti sintetizzata molto bene dalla frase dell'ultimo film di Virzì “avete scommesso sulla sconfitta di questo paese e avete vinto!”.
Non possiamo permetterci il lusso di rassegnarci alla sconfitta. Non possiamo pensare che l'unica possibilità sia la fuga o la sopravivenza. Se stabiliamo come indispensabile per un artista avere "un respiro internazionale" bisogna anche sapere che recidere le proprie radici, in quanto piantate su un deserto è un diktat che mutilerebbe una generazione: un programma a cui abbiamo la necessità di disobbedire.

Movimento o organizzazione

Ad oggi, probabilmente, non è utile perdersi nell'esegesi della genesi della consulta. Tuttavia alcune valutazioni generali intendo farle. Il punto centrale su cui si incardinano le perplessità è la natura di “organizzazione” della consulta contrapposta ad uno spirito, percepito come più “puro”, di movimento spontaneo.
Due elementi in contrapposizione solo se non si pongono in modo gerarchico.
I movimenti spontanei nascono tendenzialmente dalle emergenze (la riforma Gelmini
sull'università, la guerra in Iraq) e hanno un carattere emotivo importante: un problema immediato che si pone e l'urgenza di rimuoverlo (talvolta in virtù della prospettiva che fa apparire le cose più vicine più grandi). L'analisi appare semplice, facilmente condivisibile, in grado di aggregare. I limiti sono la natura carsica (o la durata limitata nel tempo).
Le organizzazioni all'opposto hanno difficoltà ad aggregare senza la spinta emotiva e senza la semplificazione; tuttavia hanno l'opportunità di costruire un pensiero complesso: risposte non contingenti ma di sistema. È una formula che necessità di tempi lunghi, luoghi di discussione e un intrinseco grado di inefficienza.
Credo che la Consulta sia importante perché “l'emergenza Macro” non si può concettualmente chiamare emergenza. Un organo creato solo per dare un'accelerazione alla designazione di un nuovo direttore rientrerebbe piuttosto nelle caratteristiche di un movimento, un'occupazione o qualcosa di simile.
Non sarebbe nulla di diverso da un altro convitato (di pietra) al tavolo di chi spartisce. La Consulta sarà, credo, molto più utile se inizia a riflettere seriamente sulla natura del Macro: quali caratteristiche dovrebbe avere una fondazione, su quali procedure selezionare il direttore, su quali elementi di “terzietà” avere la commissione.

La partecipazione e i suoi strumenti

Democrazia diretta, rappresentativa, o digitale, sono tutti modi per descrivere il modo in cui si mette in campo il peso del singolo alla decisione collettiva. Esiste un problema di scala: tanto più ampia è la platea, tanto meno speso specifico avrà il singolo.
Si nasconde in questo un insidia culturale da evitare. Si viene portati a pensare ad una democrazia quantitativa e non qualitativa. Come unici modelli efficaci vediamo la scelta (fra 3) di un leader attraverso le primarie, o la scelta fra poche ipotesi con un click sul web. In entrambi i casi una parte consistente del potere la detiene chi formula la domanda o chi sceglie i candidati.
La partecipazione qualitativa invece pone i prossimi passi della consulta su un altro piano: se ci trovassimo a discutere della natura della “fondazione Macro” possiamo ben immaginare come partecipazione numeri meno alti, per via di una selezione naturale sulle competenze e attitudini, ma molto più qualificati nel merito. Sono le intelligenze e non le dita ad avere un ruolo. Dobbiamo superare l'idea di “una testa un voto” e passare all'idea di “una testa, un cervello”Così il ruolo della rappresentanza acquista senso. Se cinque persone elette a colloquio con il sindaco non hanno la “capacità” di mobilitare pensiero e consenso, anche se elette con molti voti, saranno e rimarranno cinque. L'efficacia della consulta nella sua rappresentanza sarà direttamente proporzionale alla capacità di mobilitare e creare partecipazione.
Se la consulta perde di efficacia semplicemente si svuoterebbe. Rimarrebbero formalismi e poltrone senza nessuna corrispondenza con la realtà. Qualcuno ha tacciato questo come assemblearismo o movimentismo, in realtà ritengo sia efficacia da contrapporsi all'autocelebrazione.

Il senso di una candidatura

Il malessere di cui sopra e il forte astensionismo nel paese hanno insegnato a molti che le campagne elettorali sono “lastricate di buoni propositi” almeno quanto la strada per l'inferno.
In generale anche i buoni propositi sono considerati "già qualcosa" ma non sono utili a curare la disillusione di molti. L'idea stessa diffusa di autorevolezza e di selezionare per curriculum apre a bizantinismi: scegliere i più affermati, la quota dei medi, la quota rosa, quella dei giovani. Forse è utile guardare veramente a cosa già si è fatto. A chi ha proposto l'emendamento affinché l'assemblea deliberasse sulla linea della Consulta (evitando di dover fare il contabile di un bilancio da 1000 euro.)
Le elezioni sono indispensabili, ma la partita vera viene dopo, la posta in gioco è chiara: se faremo far funzionare uno strumento collettivo o se scommetteremo, magari vincendo, sul fallimento. 

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Francesco Sibilla

L’iniziativa della Consulta nasce come un’aggregazione spontanea di istanze attorno al Sistema del Contemporaneo di Roma e, in particolare, a sostegno e supporto delle politiche museali del Comune sul MACRO.
Si tratta di un’esperienza di partecipazione politica (nel senso più alto del termine) del tutto innovativa - e sperabilmente replicabile - che prova a sintetizzare e selezionare idee, programmi, proposte, spinte ed energie del Mondo dell’Arte Contemporanea per poi trasferirle sul terreno delle proposte.
In questo ambito si pone il contributo che vorrei dare al progetto, da un lato in chiave tecnico-giuridica, ma dall’altro anche portando avanti l’idea che la cultura delle Arti Visive del nostro tempo non solo non deve essere vista come antitetica all’economia, ma costituisce viceversa un potentissimo acceleratore per lo sviluppo dei singoli individui e delle comunità a cui essi appartengono, anche sotto il profilo del loro benessere materiale.
Per far sì che questo nostro tentativo inneschi il fuoco sacro dell’evoluzione e dell’innovazione, tutti gli eletti dovranno farsi carico di un <rigoroso> processo di sintesi degli interessi delle varie anime della Consulta in modo da agevolarne la traduzione in categorie compatibili con i fini dell’Amministrazione Pubblica alla quale suggerire, conseguentemente, soluzioni operative e concretamente praticabili.
Tutto ciò, senza mai abdicare nelle scelte che faremo ai valori del merito, della competenza, dell’imparzialità, dell’eccellenza e dell’etica.
Con questo approccio si dovrà lavorare assieme alle proposte sull’organizzazione e gestione del MACRO, al suo futuro nel sistema museale romano, alla necessità della immediata nomina di un curatore di provata esperienza e autorevolezza internazionale che sia in grado di traghettare la struttura verso una nuova formula, anche sotto il profilo giuridico-amministrativo, idonea a darle una prospettiva ed una progettazione di medio periodo.
Non andrà trascurata, poi, la necessità di comprendere quale sia la miglior soluzione per dar vita al Distretto Culturale Testaccio/Ostiense/Mattatoio (più volte avanzata in passato) - con una decisa e ferma contrapposizione alle clientele locali – in una prospettiva internazionale che sia in grado di far da volano alle migliori espressioni dell’arte contemporanea romana nell’ambito di un linguaggio sempre più globale e per questo lontano dai provincialismi.
Al contempo, mi propongo di supportare la spinta progettuale di tutte le iniziative artistiche di carattere pubblico, soprattutto quelle capaci di avere una reale ricaduta sociale come, ad esempio, i progetti di promozione dell’arte e della cultura del contemporaneo nelle periferie quale medium di evoluzione dell’Uomo e capace di combattere il disagio ed agevolare l’inclusione sociale dei quartieri più difficili. Così come peraltro avviene nelle più importanti capitali del mondo e come l’esperienza di Alfredo Pirri al Mandrione testimonia.
In questo senso, mi piacerebbe quindi discutere dello sviluppo della rete museale cittadina che faccia dialogare il centro con i fermenti delle periferie, le istituzioni con le scuole e Roma con il resto del mondo, superando la identificazione della città come semplice sito archeologico simbolo di una cultura passata ed incapace di guardare al futuro.

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Marcello Smarrelli


L’arte contemporanea, in quanto attivatore del pensiero, rompe i paradigmi del sapere comune, favorisce l’innovazione, il miglioramento della società e costituisce  un’opportunità di sviluppo del territorio in stretta relazione con le rapide modificazioni a cui questo è sottoposto, attivando nelle persone uno sguardo progettuale in grado di collocarsi nel punto d’intersezione tra sensibilità individuale e collettiva, promuovendo una domanda crescente di qualità della vita che si misura con spazi urbani e tematiche attinenti alla sfera pubblica.
L’arte contemporanea ha come riferimento la realtà e gli scenari del futuro, come soggetto le istituzioni museali, i luoghi istituzionali, ma soprattutto le aree urbane ed extraurbane sensibili, spesso caratterizzate da tensioni legate all’identità, all’abitare, alla comunità, all’integrazione, allo sviluppo sostenibile. Attraverso la rilettura del territorio, gli artisti prefigurano nuove situazioni e trasformazioni, ridisegnano spazi e modelli di vita, si preoccupano della qualità dell’ambiente e della convivenza sociale. Con la loro attività rinsaldano i legami con il territorio, stimolano negli abitanti e nelle istituzioni processi di consapevolezza, innescando un desiderio di riappropriazione e  di riqualificazione.
I processi di innovazione,  progettazione e cambiamento culturale richiedono  pratiche condivise  interterritoriali e multisettoriali. Dunque soggetti,  pratiche e competenze differenti che interagendo possano opporre alla manutenzione ordinaria  azioni creative e di sostegno alla contemporaneità culturale.
Gli scenari odierni sono segnati da una difficoltà oggettiva  nel reperire le risorse per lo sviluppo di pratiche  innovative in grado di  coinvolgere e vitalizzare il territorio; ma spesso anche da un'assenza di visione strategica e sistemica della cultura. A riprova la frammentazione di piccole azioni di valore ma slegate dal contesto in cui agiscono, la polverizzazione delle già esigue risorse e la difficoltà a lavorare in sinergia tra organismi differenti per storia e vocazione ma comunque accomunati dall'obiettivo di promozione della contemporaneità.
Roma presenta al suo attivo, accademie straniere, istituzioni museali, fondazioni e associazioni culturali dedicate all'arte contemporanea che già da anni lavorano per superare lacune e isolamento progettuale. La loro esperienza però e' testimone anche di una difficoltà ad agire in rete, a progettare in una dimensione nazionale oltre che europea, a condividere saperi manageriali di progettazione condivisa.
 Una lacuna che,  a fronte della necessità per tutti di agire in un'ottica di funding  mix, evidenza un vuoto anche istituzionale di sostegno e accompagnamento all'utilizzo di: fondi pubblici di soggetti nazionali e locali, fondi privati, fondi pubblici europei.
Per questo ho deciso di presentare la mia candidatura a rappresentare l’assemblea dell’Associazione Consulta per l’arte contemporanea di Roma, sperando che la mia esperienza possa essere d’aiuto.
Di seguito provo a riassumere alcune proposte che si aggiungono a quelle già fortemente espresse dagli obiettivi che la Consulta si dà nel suo statuto e che rimangono primarie.

Proposte:
Tra le altre cose la Consulta per l’arte contemporanea dovrebbe stimolare l’amministrazione del Comune di Roma a:

·       istituire un Fondo per l'acquisizione di opere di giovani artisti italiani sul modello dei FRAC francesi;
·       istituire un servizio di counselling per la progettazione culturale in una dimensione nazionale ed europea, che accompagni gli interessati nelle procedure che le pratiche burocratiche richiedono per accedere ai fondi pubblici;
·       valutare i progetti a cui destinare il patrocinio del Comune di Roma;

e inoltre…

·       Recuperare e riutilizzare immobili abbandonati appartenenti al patrimonio edilizio pubblico, destinandoli a progetti culturali  (studi d'artista, residenze per artisti e curatori, spazi espostivi, ecc..).
·       Realizzare un progetto pilota che interessi le istituzioni scolastiche (asili, scuole, università), selezionando una serie di artisti/docenti a cui consegnare uno di questi luoghi per realizzare attività formative legate alla produzione di opere d’arte.












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