Programmi dei candidati a rappresentanti della Consulta per l'Arte contemporanea di Roma
Per una rinascita delle coscienze
Limitandosi ad analizzare gli interventi prodotti
nelle politiche culturali italiane dell’ultimo decennio, le linee guida seguite
dal governo centrale e dalle amministrazioni locali sono state, infine,
finalizzate alla realizzazione di grandi strutture architettoniche (come gli
edifici costruiti per il MAXXI e per il MACRO) non supportate da un adeguato
finanziamento in funzione del la gestione delle stesse.
La crisi economica che sconvolge l’Europa da oltre
cinque anni non solo ha messo in ginocchio la gestione del sistema culturale
italiano e in particolar modo il settore delle arti visive, ma ha portato ad
una riduzione drastica del gettito finanziario disponibile per la sussistenza
dei musei e di tutte le attività culturali.
Il poco denaro disponibile è stato concentrato
soltanto sui grandi progetti e sui grandi spazi, rinunciando a nuovi
investimenti per la definizione di luoghi ed eventi legati con maggiore sintonia al territorio.
Anche il sistema giuridico della “Fondazione” che
avrebbe dovuto immettere denaro privato nelle gestione dei musei si è rilevato
poco flessibile e legato a contingenze e sponsorizzazioni occasionali creando
situazione anomale come quella del MAXXI, totalmente dipendente dal
finanziamento pubblico ma gestito
come una fondazione privata.
Sempre maggiore pressione viene svolta, nell’ambito
della produzione contemporanea, da soggetti che approfittando di una mancanza
di regole chiare e di un controllo forte e risoluto da parte delle stato e
delle amministrazioni, può decidere liberamente degli indirizzi delle politiche
culturali e influire sulle tendenze e sulle ricerche dei linguaggi
contemporanei.
In questa scala di valori gli elementi deboli della
catena - gli operatori culturali
del contemporaneo – sono
assolutamente in balia di una deregolamentazione folle e senza controllo
ridotti al ruolo di mercenari in una guerra civile nel corso della quale è
stata persa la ragione della vittoria.
La Consulta dell’Arte Contemporanea dovrebbe essere lo strumento di
controllo e di indirizzo che dialoga con le istituzioni, e pone alla loro
attenzione quali strumenti utilizzare per un’equilibrata gestione delle
politiche culturali, soprattutto nell’ambito dei linguaggi contemporanei.
In particolare
-
Risoluzione
della questione Museo MACRO con un chiaro piano d’intervento per quel che
riguarda le risorse finanziare e quelle umane. Politiche di trasparenza nei
finanziamenti e nelle assunzioni del personale scientifico.
-
Creazione di
un’anagrafe degli artisti che lavorano nel territorio e il recupero di spazi
demaniali abbandonati da destinare a studio d’artista
-
Invitare le
amministrazioni locali alla creazioni di fondi d’intervento per il sostegno degli artisti
attraverso bandi, concorsi e residenze.
-
Incentivare, in
funzione didattica ed educativa, l’incontro fra gli operatori culturali del
contemporaneo che lavorano sul
territorio e le istituzioni dedite alla formazione e alla divulgazione
culturale. Implementare l’accesso al sapere non soltanto nella sua variante
verticale (dal docente al discente) ma come educatore che si mette al servizio
del fruitore (con particolare rifermento alle periferie e ai territori
border-line).
____________________
Davide Dormino
Programma di BONIFICA CULTURALE
Il mio lavoro di artista non mi porta a
vedere le cose in astratto.Ho scelto di candidarmi proprio perché
certe mancanze fanno parte della vita quotidiana, le vivo in prima persona,Vedo come la gente cambia senza nutrimento
culturale.Vedo come la città si spegne ripiegandosi
solo su aggregazioni commerciali.
Partiamo dal basso, parliamo in modo
semplice, prima di fare le strategie va spiegato il gioco.
Sono contrario agli accentramenti, penso
che siano meglio 5 cinema di una multisala.
Credo che tante piccole cose per tanti
siano meglio di una grande per pochi.
Con questo spirito penso alle periferie
come ad una opportunità straordinaria per la città.
Dobbiamo mettere in condizione le persone
di poter comunicare.
La parte esterna di un organismo é quella
da cui iniziare il lavoro per non lasciare zone buie, incontrollate.
La mia idea é di procedere sia
tecnicamente che emotivamente.
La tecnica é quella della verifica e del
controllo delle aree:
Censimento delle circoscrizioni attraverso
il presidente della stessa per conoscere gli spazi vuoti di quell’area, le
attività culturali (quante librerie, quanti cinema, quanti spazi espositivi) le
attività commerciali piccole o grandi da poter coinvolgere come sponsor per
riqualificare la zona.
Emotivamente vuol dire capire le
caratteristiche delle singole aree, assecondando la loro natura per costruire
“un nuovo” con radici specifiche. Ogni area avrà un sorta di direttore
artistico.
Per fare questo penso che dovremmo:
1.Avere un contatto con i singoli
amministratori delle aree periferiche
2.Lavorare con spazi che sarebbero
bonificati con le attività culturali
3.Fare un'azione di guida per accesso a
bandi nazionali ed internazionali
4.Creare una rete in contatto con la
consulta e i responsabili di quartiere
5.Lavorare con le scuole usando gli spazi
comuni per Opere che abituino i ragazzi a convivere con l'arte
6.Proporre dei gemellaggi non di città ma
di zone fra Roma
La mia idea é di muovere le piccole barche più delle
navi. I Musei e gli spazi istituzionali saranno costretti a stare ai tempi per
non perdere valore nella competizione con la città.
Gli Artisti sono delle cellule staminali.
__________________
Raffaele
Gavarro
Il presente abstract fa riferimento e trova completamento
nell'articolo "Della Consulta di Roma e della necessità di un impegno
dell'arte fuori da sè", uscito Venerdì 24 gennaio 2014 sulla rivista
Exibart.
http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=41534&IDCategoria=244La consulta è e dovrà essere:
"Un organismo che non rappresenta, ma che è la comunità
delle arti visive a Roma. Uno strumento politico che si rende necessario in un
momento storico in cui è richiesto improrogabilmente un impegno all’arte fuori
da sé, di uscita dal suo stato di pur necessaria lateralità, che consiste nello
stare in un quotidiano tutto suo, tangente al resto ma mai del tutto sovrapponibile
a quello più generale. Dico questo perché per molti di noi l’idea di essere
inseriti in un contesto collettivo è quasi un’eresia, come lo è prendere
impegni fuori da quella che è la propria ricerca e lo sviluppo del proprio
lavoro. Ma voglio anche dire che se in questi anni c’è stata una richiesta
plurale e condivisa all’arte, è stata quella di tornare a riflettere sui
meccanismi sociali e politici in cui agiamo, come anche quella di farsi
strumento di conoscenza del mondo stesso. E dunque la Consulta può anche essere
intesa come la corrispondenza estrema a questa richiesta, che agirà come uno
strumento di controllo etico e di contributo di conoscenza sulle scelte che
farà l’amministrazione nell’ambito delle politiche culturali. Fornirà indicazioni
in tal senso, mantenendo però una totale indipendenza e cioè non diventando
consulente dell’assessore né di altre figure istituzionali, perché
evidentemente questo non potrà essere il suo ruolo. Svolgerà invece attività di
monitoraggio sul territorio, segnalando necessità e possibilità a chi ha in tal
senso funzioni e obblighi istituzionali. Ma avrà anche funzioni di denuncia e
di censura pubbliche.
Per la prima volta con la Consulta stiamo creando un nuovo
modello di partecipazione alle politiche culturali, che sarà determinato dagli
stessi operatori e che lavorerà in stretta relazione con il territorio, e che
forse sarà addirittura in grado di ostacolare quei processi di affidamento e di
assegnazione (di qualsiasi cosa: incarichi, denaro, competenze, etc.) che sono
da sempre basati sugli odiosi meccanismi politico-clientelari, familiari,
amicali, salottieri, fino a quelli di natura diciamo più complessa."
__________________
Silvia Litardi
Programma ideale - Dichiarazione di
intenti
Nel pieno rispetto degli obiettivi generali della
Consulta e del ruolo che si è fissata, il mio apporto ideale programmatico si
sviluppa nei temi seguenti:
In primis credo nella necessità di avviare un
processo di democratizzazione della Cultura in cui l’arte contemporanea può porsi come campo
privilegiato di guida per sua stessa natura. Tale processo sposta l’attenzione
dalla produzione alla fruizione e, in virtù delle indicazioni programmatiche
dell’ultima agenda europea (2014-2020), verso i pubblici non convenzionali, in
sostanza tutti coloro che, per ragioni diverse, afferiscono difficilmente
all’offerta culturale. Implementare il loro coinvolgimento è, oltre ad un
dovere morale e civile, una grande occasione per aprire il sistema dell’arte
contemporanea, troppo spesso additato come chiuso ed elitario.
In quest’ottica i fruitori non vengono considerati
dei consumatori finali, ma dei produttori di senso insieme a tutti gli attori
del sistema dell’arte. Tale predisposizione riporta a trattare il Museo, e le
istituzioni in generale, come strumento di integrazione nelle quali le
collezioni giocano un ruolo fondamentale per la costruzione dell’identità
locale o trans-locale. il Museo, e le istituzioni in generale, devono essere
inclusive e devono costituire delle zone di contatto.
A tale scopo, credo che l’azione della Consulta possa
diventare l’occasione per costituire una piattaforma di pratiche, più che di
progetti, la cui pluralità costituisce di per sé un valore di cui le
Istituzioni hanno urgente bisogno in quanto premessa alla costruzione di
contenuti aderenti all’attualità. Questa impostazione è teoricamente in grado
di generare il senso di appartenenza della cittadinanza verso i proprio beni e
quindi è in grado automaticamente di difenderli, ripensarli e proteggerli in quanto propri. Questi meccanismi
possono essere progettati e pianificati da figure tecniche specializzate in materia,
ma la loro azione diventa incredibilmente potente quando si unisce alla visione
di artisti e intellettuali.
Credo fortemente che bisogna stare nel proprio tempo
per poterlo agire e quello che ci tocca vivere è il tempo dell’urgenza e
dell’emergenza; come spesso fanno gli artisti, anche gli operatori della
cultura devono mettersi in questa condizione per reagire costruttivamente. Non
è forse nel panico del collasso che si ritrova unione e coesione? C’è
un’estetica dell’emergenza (cit. Reinaldo Laddaga) che descrive quella
mobilitazione di strategie complesse che gli artisti sono in grado di attivare
nella società. Ascoltarli, osservarli, collaborare attivamente a questi
processi è quanto di più vitale si possa fare!
Il mio title,
curatrice indipendente, anche questo autoproclamato!, prevede l’indipendenza e
l’autonomia, valori che ritengo fondamentali per tutte quelle figure che hanno
un ruolo di connettore tra campi di azione, di potere e di ricerca.Tale
autonomia ha un prezzo molto alto, una valenza che va confermata, negoziata e
aggiornata continuamente grazie alle afide, alle collaborazioni e agli
obiettivi del lavoro quotidiano. Immagino questa stessa predisposizione per un
organo come quello della Consulta che, a due anni dalla sua nascita, si trova
ad autodeterminarsi nuovamente, elemento positivo che denota il fatto che
sia nata da un bisogno collettivo e non da una domanda dall’alto.
Il segnale di queste ultime settimane incarna una
continuità nella fiducia che la Consulta agisca per il bene comune. Su questa
certezza il mio obiettivo ideale e principale è di avviare una “produzione
collaborativa di desiderio” (cit. Henri Lefebvre).
__________________
Laura
Palmieri
Perché mi candido
per la Consulta Arte Contemporanea.
Cercherò di essere
sintetica e con molta umiltà dire le ragioni della mia scelta.
La prima è che
siamo noi il motivo dell’esistenza dell’arte.
In questo momento
non credo ci sia bisogno di una contrapposizione ma di un dialogo con le
istituzioni e soprattutto tra noi e la città. Ci sono interessi specifici che
ci riguardano.
Sarò chiara ho
sempre lavorato con i gruppi “A regola d’Arte” “Oreste” e varie situazioni
collettive, tutte nate dagli artisti, dove si potesse guardare al di là del
proprio orticello, questo l’ho imparato a Roma, dove ultimamente si tenta di
non considerare la storia e il suo molteplice che ha creato nel tempo
un’evidente piattaforma sempre viva tra gli artisti anche molto diversi tra
loro, gli artisti che sono stati sempre il motore della città, quindi in
maniera realistica bisogna sensibilizzare le istituzioni romane museali e di
altro tipo e politiche, ad una maggiore attenzione all’arte contemporanea nel
territorio, finirla con la retorica della tutela solo dell’archeologia, che
ingenuamente dalle dichiarazioni delle figure istituzionali viene sempre citata
come interesse per l’arte in generale. Viene prima l’arte e poi la storia
dell’arte.
Soprattutto
bisogna ridare centralità alla più importante piattaforma di confronto
istituzionale che è il Macro e non dimenticarsi che è la Galleria Comunale di
Roma, senza vergogna, si deve occupare di chi vive nel territorio, perché non
c’è cosa più provinciale di far finta che sia un museo internazionale, così non
lo è. Ed occuparsi semmai seriamente degli spazi inutilizzati soprattutto per
gli studi e le esposizioni.
Propongo la mia
candidatura da donna in contrapposizione alla tendenza dei miei amici artisti
che per una perversione tutta romana sono solo uomini. Penso che per una
maggiore rappresentanza delle donne, nel panorama romano e per tutelare la
visibilità delle artiste, in comune con altre artiste, abbiamo deciso la mia
candidatura. Ritengo che la candidatura Pirri/Kounellis non sia necessaria e
soprattutto ci voglia ricambio. E’ importante che vi siano più artisti
candidati perché noi saremmo in questo caso rappresentati da altri, sono lieta
della partecipazione degli altri artisti. Ma anche le artiste sono tante e non
sono rappresentate, perché nessuno degli artisti candidati fin ora si sono mai
occupati di noi.
__________________
Alfredo Pirri Jannis
Kounellis
Esserci o non esserci
Abbiamo deciso di aderire alla
consulta per l’arte contemporanea di Roma e dare il nostro contributo
candidandoci congiuntamente a farne parte, eccone i motivi:
Pensiamo che le istituzioni
che, da sempre hanno rappresentato il naturale interlocutore dei movimenti
culturali cittadini, che, a volte, si sono addirittura plasmate sui loro
modelli e proposte siano, al contrario, oggi, particolarmente lontane da essi e
vivano il loro rapporto con la cultura artistica della città attraverso un
relazione basata su una sorta di vuoto
o mancanza di rappresentazione,
particolarmente dannosa e distante dal nostro modo di vivere da cittadini. In
particolar modo cittadini coinvolti giornalmente dentro la questione più ampia
della rappresentazione intesa come
disciplina e pratica artistica, quindi particolarmente sensibili a come tutto
questo si possa tradurre in governo della città e pratica politica attiva dei
suoi dirigenti.
Scegliere di governare una
città attraverso la pratica costante del vuoto vuol dire condividerne e
promuoverne quel lato distruttivo che ben conosciamo avendone noi, per primi, e
in tutta la tradizione artistica, praticato, in maniere differenti, le forme e
i contenuti ma nella consapevolezza piena che, quando è la politica a farsene
maggiore portavoce, usando il vuoto come strumento di governo non possano di
conseguenza che innescarsi processi degenerativi per tutto il corpo sociale e
per la democrazia stessa.
Gli amministratori di una
città, in tal modo, diventano fantasmi a presidio del nulla. I palazzi e i
luoghi del potere rappresentativo sono ormai luoghi vuoti, da dove i generali
sono fuggiti e i rivoluzionari, quando si decideranno a entrarci, non
troveranno più neanche quei mobili e suppellettili che un tempo traducevano in
forma il potere della politica.
Ridare corpo all’astrazione del
potere
Che strano il destino
dell’astrazione: Trasformarsi da immagine della ribellione a destino e forma
della politica antidemocratica! Il comportamento politico che si sta attuando
ovunque è ormai una forma astratta al servizio della tecnica economica e del
suo destino mistico in cui non vi è più traccia dell’affermarsi di alcuna
necessità pratica. Finanche le amministrazioni locali sembrano incatenate a
queste forme delle quali non comprendono più né l’origine né i desideri che le
hanno partorite. Gli amministratori si affidano a esse più come filtro rispetto
alla realtà che li vorrebbe corrodere che come occasione di ribellione che li
vedrebbe uniti alla gente a intraprendere in comune un processo di ricerca di una via che ci possa realmente
portare altrove. Per primo la conoscenza di quei luoghi periferici dove si
annidano risorse inespresse. Sia luoghi fisici della città sia spazi umani ed
espressivi. Il contrario quindi, di quelle visioni disastrose (anch’esse
astrattiste) che hanno portato a immaginare l’esistenza di luoghi totalmente
privi d’identità umana e culturale, in altre parole luoghi fisici che vedono
negato il loro statuto di realtà e diventando spazi persi una volta per sempre
alla storia e alla pratica della città intesa come organismo complessivo e
armonico. Il risultato di questo pensiero (per fortuna al tramonto) è di
concepire una città parcellizzata dove si destinano e caratterizzano alcuni dei
suoi luoghi a spazi per eventi
(magari creativi) piuttosto che spazi
per l’arte temendo che quest’ultima, con la sua tradizione e peso culturale
possa tenere lontano il popolo dai suoi rappresentanti politici, (tenuti
insieme dal collante indistinto e informale dell’evento) e non
comprendendo che, al contrario, è solo laddove ci si confronta con un valore e
un peso che cresce la libertà personale e quindi il dialogo aperto con le
istituzioni (sia politiche sia linguistiche).
Il potere simbolico dei luoghi
si apparenti con quello poetico dell’arte.
Non è casuale che il
postmodernismo abbia terminato la sua parabola distruttrice e velleitaria
scontrandosi proprio con l’ostacolo maggiore che gli si è posto di fronte:
l’azione identitaria di tutti i luoghi (perfino di quelli comuni). I suoi
teorici non sono riusciti a dimostrare (o a farci innamorare dell’idea) che un
luogo valga l’altro e che quindi ogni spazio vada vissuto in modo astratto e
inconsapevole. L’arte è, per prima cosa, rappresentazione e messa in opera del
desiderio di spazio e attraverso le sue opere risarcimento per gli sforzi che
si compiono in tale direzione. I luoghi e le opere d’arte, sono raccoglitori
che mantengono vivo questo desiderio, lo attualizzano e lo rendono vivo. In tal
senso, l’arte è un produttore di luoghi, purché s’intenda come tale qualsiasi
cosa essa generi, quindi non solo ambienti tridimensionali ma anche opere in
superficie o di qualsiasi tipo.
Quest’atto di libertà
fondato dall’arte non è secondario, non è apolitico,
anzi sprofonda dentro la storia di tutte le ribellioni e se ne fa continuatore.
Così oggi vogliamo
rivolgerci alla consulta per prima (cioè a noi stessi) e a quanti governano la
città con la speranza che qualcosa (almeno qualcosa) di questa storia venga non
solo salvaguardata ma fatta rivivere attraverso la garanzia di un dialogo
aperto.
____________________
Filippo Riniolo
cari/e
un malessere
attraversa tutta la società italiana e ha un origine precisa: la domanda di
partecipazione,
una richiesta diffusa di poter incidere collettivamente sul proprio destino. Al
contempo il
malessere si trova nell'inadeguatezza delle risposte, delle formule organizzate
di convivenza (che
vanno dalle istituzioni alle organizzazioni sociali).
Questo malessere
si registra anche nelle persone che si occupano dell'arte contemporanea (non esattamente una
comunità).
Il presupposto
però è la percezione collettiva di avere un destino comune, la presa d'atto
concreta che non si possano
ottenere risultati efficaci "coltivando il proprio orticello", non se
lo scenario somiglia più ad un
deserto.
Occupiamoci di
contemporaneo prima e la Consulta dopo, possono essere letti, a mio avviso,
come tentativi parziali di rispondere a questa esigenza. Parziali e inefficaci.
Una contraddizione
ci si pone davanti sintetizzata molto bene dalla frase dell'ultimo film di
Virzì “avete scommesso
sulla sconfitta di questo paese e avete vinto!”.
Non possiamo
permetterci il lusso di rassegnarci alla sconfitta. Non possiamo pensare che
l'unica possibilità sia la
fuga o la sopravivenza. Se stabiliamo come indispensabile per un artista avere
"un respiro internazionale" bisogna anche sapere che recidere le
proprie radici, in quanto piantate su un deserto è un diktat che mutilerebbe
una generazione: un programma a cui abbiamo la necessità di disobbedire.
Movimento o organizzazione
Ad oggi,
probabilmente, non è utile perdersi nell'esegesi della genesi della consulta.
Tuttavia alcune valutazioni generali intendo farle. Il punto centrale su cui si
incardinano le perplessità è la natura di “organizzazione” della consulta
contrapposta ad uno spirito, percepito come più “puro”, di movimento
spontaneo.
Due elementi in
contrapposizione solo se non si pongono in modo gerarchico.
I movimenti
spontanei nascono tendenzialmente dalle emergenze (la riforma Gelmini
sull'università,
la guerra in Iraq) e hanno un carattere emotivo importante: un problema
immediato che si pone e
l'urgenza di rimuoverlo (talvolta in virtù della prospettiva che fa apparire le
cose più vicine più
grandi). L'analisi appare semplice, facilmente condivisibile, in grado di
aggregare. I limiti sono la natura
carsica (o la durata limitata nel tempo).
Le organizzazioni
all'opposto hanno difficoltà ad aggregare senza la spinta emotiva e senza la semplificazione;
tuttavia hanno l'opportunità di costruire un pensiero complesso: risposte non contingenti ma di
sistema. È una formula che necessità di tempi lunghi, luoghi di discussione e
un intrinseco grado
di inefficienza.
Credo che la
Consulta sia importante perché “l'emergenza Macro” non si può concettualmente chiamare
emergenza. Un organo creato solo per dare un'accelerazione alla designazione di
un nuovo direttore rientrerebbe piuttosto nelle caratteristiche di un
movimento, un'occupazione o qualcosa di simile.
Non sarebbe nulla
di diverso da un altro convitato (di pietra) al tavolo di chi spartisce. La Consulta sarà, credo, molto
più utile se inizia a riflettere seriamente sulla natura del Macro: quali caratteristiche
dovrebbe avere una fondazione, su quali procedure selezionare il direttore, su
quali elementi di
“terzietà” avere la commissione.
La partecipazione e i suoi strumenti
Democrazia
diretta, rappresentativa, o digitale, sono tutti modi per descrivere il modo in
cui si mette in campo il peso del singolo alla decisione collettiva. Esiste un
problema di scala: tanto più ampia è la platea, tanto meno speso specifico avrà
il singolo.
Si nasconde in
questo un insidia culturale da evitare. Si viene portati a
pensare ad una democrazia quantitativa e
non qualitativa. Come unici modelli efficaci vediamo
la scelta (fra 3) di un leader attraverso le primarie, o la scelta fra poche
ipotesi con un click sul web. In entrambi i casi una parte consistente del
potere la detiene chi formula la domanda o chi
sceglie i candidati.
La partecipazione
qualitativa invece pone i prossimi passi della consulta su un altro piano: se
ci trovassimo a
discutere della natura della “fondazione Macro” possiamo ben immaginare come partecipazione
numeri meno alti, per via di una selezione naturale sulle competenze e
attitudini, ma molto più qualificati nel merito. Sono le intelligenze e non le
dita ad avere un ruolo. Dobbiamo superare l'idea di “una testa un voto” e passare
all'idea di “una testa, un cervello”. Così il ruolo
della rappresentanza acquista senso. Se cinque persone elette a colloquio con
il sindaco non hanno
la “capacità” di mobilitare pensiero e consenso, anche se elette con molti
voti, saranno e
rimarranno cinque. L'efficacia della
consulta nella sua rappresentanza sarà direttamente proporzionale alla capacità di
mobilitare e creare partecipazione.
Se la consulta
perde di efficacia semplicemente si svuoterebbe. Rimarrebbero formalismi e
poltrone senza nessuna corrispondenza con la realtà. Qualcuno ha
tacciato questo come assemblearismo o movimentismo, in realtà ritengo sia
efficacia da contrapporsi all'autocelebrazione.
Il senso di una candidatura
Il malessere di
cui sopra e il forte astensionismo nel paese hanno insegnato a molti che le
campagne elettorali sono “lastricate di buoni propositi” almeno quanto la
strada per l'inferno.
In generale anche
i buoni propositi sono considerati "già qualcosa" ma non sono utili a
curare la disillusione di
molti. L'idea stessa diffusa di autorevolezza e di selezionare per curriculum
apre a bizantinismi:
scegliere i più affermati, la quota dei medi, la quota rosa, quella dei
giovani. Forse è utile guardare
veramente a cosa già si è fatto. A chi ha proposto l'emendamento affinché
l'assemblea deliberasse sulla linea della Consulta (evitando di dover fare il
contabile di un bilancio da 1000 euro.)
Le elezioni sono
indispensabili, ma la partita vera viene dopo, la posta in gioco è chiara: se
faremo far funzionare uno
strumento collettivo o se scommetteremo, magari vincendo, sul fallimento.
___________________
Francesco Sibilla
L’iniziativa
della Consulta nasce come un’aggregazione spontanea di istanze attorno al
Sistema del Contemporaneo di Roma e, in particolare, a sostegno e supporto
delle politiche museali del Comune sul MACRO.
Si tratta
di un’esperienza di partecipazione politica (nel senso più alto del termine)
del tutto innovativa - e sperabilmente replicabile - che prova a sintetizzare e
selezionare idee, programmi, proposte, spinte ed energie del Mondo dell’Arte
Contemporanea per poi trasferirle sul terreno delle proposte.
In questo
ambito si pone il contributo che vorrei dare al progetto, da un lato in chiave
tecnico-giuridica, ma dall’altro anche portando avanti l’idea che la cultura
delle Arti Visive del nostro tempo non solo non deve essere vista come
antitetica all’economia, ma costituisce viceversa un potentissimo acceleratore
per lo sviluppo dei singoli individui e delle comunità a cui essi appartengono,
anche sotto il profilo del loro benessere materiale.
Per far sì che
questo nostro tentativo inneschi il fuoco sacro dell’evoluzione e
dell’innovazione, tutti gli eletti dovranno farsi carico di un <rigoroso>
processo di sintesi degli interessi delle varie anime della Consulta in modo da
agevolarne la traduzione in categorie compatibili con i fini
dell’Amministrazione Pubblica alla quale suggerire, conseguentemente, soluzioni
operative e concretamente praticabili.
Tutto ciò, senza
mai abdicare nelle scelte che faremo ai valori del merito, della competenza,
dell’imparzialità, dell’eccellenza e dell’etica.
Con questo
approccio si dovrà lavorare assieme alle proposte sull’organizzazione e
gestione del MACRO, al suo futuro nel sistema museale romano, alla necessità
della immediata nomina di un curatore di provata esperienza e autorevolezza
internazionale che sia in grado di traghettare la struttura verso una nuova
formula, anche sotto il profilo giuridico-amministrativo, idonea a darle una
prospettiva ed una progettazione di medio periodo.
Non andrà
trascurata, poi, la necessità di comprendere quale sia la miglior soluzione per
dar vita al Distretto Culturale Testaccio/Ostiense/Mattatoio (più volte
avanzata in passato) - con una decisa e ferma contrapposizione alle clientele
locali – in una prospettiva internazionale che sia in grado di far da volano
alle migliori espressioni dell’arte contemporanea romana nell’ambito di un linguaggio
sempre più globale e per questo lontano dai provincialismi.
Al contempo, mi
propongo di supportare la spinta progettuale di tutte le iniziative artistiche
di carattere pubblico, soprattutto quelle capaci di avere una reale ricaduta
sociale come, ad esempio, i progetti di promozione dell’arte e della cultura
del contemporaneo nelle periferie quale medium
di evoluzione dell’Uomo e capace di combattere il disagio ed agevolare
l’inclusione sociale dei quartieri più difficili. Così come peraltro avviene
nelle più importanti capitali del mondo e come l’esperienza di Alfredo Pirri al
Mandrione testimonia.
In questo senso,
mi piacerebbe quindi discutere dello sviluppo della rete museale cittadina che
faccia dialogare il centro con i fermenti delle periferie, le istituzioni con
le scuole e Roma con il resto del mondo, superando la identificazione della
città come semplice sito archeologico simbolo di una cultura passata ed
incapace di guardare al futuro.
___________________
Marcello Smarrelli
L’arte contemporanea, in quanto
attivatore del pensiero, rompe i paradigmi del sapere comune, favorisce
l’innovazione, il miglioramento della società e costituisce un’opportunità di sviluppo del
territorio in stretta relazione con le rapide modificazioni a cui questo è
sottoposto, attivando nelle persone uno sguardo progettuale in grado di
collocarsi nel punto d’intersezione tra sensibilità individuale e collettiva,
promuovendo una domanda crescente di qualità della vita che si misura con spazi
urbani e tematiche attinenti alla sfera pubblica.
L’arte contemporanea ha come riferimento
la realtà e gli scenari del futuro, come soggetto le istituzioni museali, i
luoghi istituzionali, ma soprattutto le aree urbane ed extraurbane sensibili,
spesso caratterizzate da tensioni legate all’identità, all’abitare, alla
comunità, all’integrazione, allo sviluppo sostenibile. Attraverso la rilettura
del territorio, gli artisti prefigurano nuove situazioni e trasformazioni,
ridisegnano spazi e modelli di vita, si preoccupano della qualità dell’ambiente
e della convivenza sociale. Con la loro attività rinsaldano i legami con il
territorio, stimolano negli abitanti e nelle istituzioni processi di
consapevolezza, innescando un desiderio di riappropriazione e di riqualificazione.
I processi di innovazione, progettazione e cambiamento culturale
richiedono pratiche condivise interterritoriali e multisettoriali.
Dunque soggetti, pratiche e
competenze differenti che interagendo possano opporre alla manutenzione
ordinaria azioni creative e di
sostegno alla contemporaneità culturale.
Gli scenari odierni sono
segnati da una difficoltà oggettiva
nel reperire le risorse per lo sviluppo di pratiche innovative in grado di coinvolgere e vitalizzare il
territorio; ma spesso anche da un'assenza di visione strategica e sistemica
della cultura. A riprova la frammentazione di piccole azioni di valore ma
slegate dal contesto in cui agiscono, la polverizzazione delle già esigue
risorse e la difficoltà a lavorare in sinergia tra organismi differenti per
storia e vocazione ma comunque accomunati dall'obiettivo di promozione della
contemporaneità.
Roma presenta al suo attivo,
accademie straniere, istituzioni museali, fondazioni e associazioni culturali
dedicate all'arte contemporanea che già da anni lavorano per superare lacune e
isolamento progettuale. La loro esperienza però e' testimone anche di una
difficoltà ad agire in rete, a progettare in una dimensione nazionale oltre che
europea, a condividere saperi manageriali di progettazione condivisa.
Una lacuna che,
a fronte della necessità per tutti di agire in un'ottica di funding mix, evidenza un vuoto anche
istituzionale di sostegno e accompagnamento all'utilizzo di: fondi pubblici di
soggetti nazionali e locali, fondi privati, fondi pubblici europei.
Per questo ho deciso di
presentare la mia candidatura a rappresentare l’assemblea dell’Associazione Consulta per l’arte contemporanea di Roma,
sperando che la mia esperienza possa essere d’aiuto.
Di seguito provo a riassumere
alcune proposte che si aggiungono a quelle già fortemente espresse dagli
obiettivi che la Consulta si dà nel suo statuto e che rimangono primarie.
Proposte:
Tra le altre cose la Consulta per l’arte
contemporanea dovrebbe stimolare l’amministrazione del Comune di Roma a:
·
istituire
un Fondo per l'acquisizione di opere di giovani artisti italiani sul modello
dei FRAC francesi;
· istituire un
servizio di counselling per la progettazione culturale in una dimensione
nazionale ed europea, che accompagni gli interessati nelle procedure che le
pratiche burocratiche richiedono per accedere ai fondi pubblici;
· valutare i
progetti a cui destinare il patrocinio del Comune di Roma;
e inoltre…
· Recuperare e riutilizzare immobili abbandonati appartenenti al
patrimonio edilizio pubblico, destinandoli a progetti culturali (studi d'artista, residenze per artisti
e curatori, spazi espostivi, ecc..).
· Realizzare un progetto pilota che interessi le istituzioni scolastiche
(asili, scuole, università), selezionando una serie di artisti/docenti a cui
consegnare uno di questi luoghi per realizzare attività formative legate alla
produzione di opere d’arte.
Nessun commento:
Posta un commento