IL BAR
Se si vuole la semplicità a tutti i costi, basta scolarsi una bottiglia di Vino
rosso.
Paolo Virno, da “Grammatica
della moltitudine. Per un’analisi delle forme di vita contemporanea”, 2003
Un luogo d’incontro, stabile e informale dove sperimentare
il confronto e la conoscenza reciproca, dove la lingua possa esercitarsi con
libertà e ampiezza attraverso incontri in parte programmabili in parte casuali.
Il bar è quel luogo dove, per tradizione, la realtà incontra il suo contrario,
dove attore e spettatore hanno lo stesso ruolo nella messinscena dell’esilio
dell’arte, dove il confine fra rappresentazione e realtà è liquido e velenoso.
Si potrebbe creare un posto simile come vero progetto artistico stabilmente
ospitato all’interno di una delle istituzioni cittadine per farne un luogo
d’incontro costante.
LA SCUOLA
Quando un artista impara troppo bene la propria arte,
produce un'arte superficiale.
Sol Lewitt, dal
manifesto “Sentences on Conceptual Art”,1969
Bisognerebbe creare delle condizioni speciali d’incontro con
il nostro pubblico più giovane, a
volte giovanissimo. Se siamo capaci di dare alla solitudine una forma credibile
coralmente, facendola diventare una forza, vedremmo più chiaramente le nostre
debolezze e le nostre forze e sapremmo anche offrirle agli altri come un
tesoro.
Per carità! Nessuna didattica dell’arte! Niente da insegnare
e da apprendere! Nessun programma di studio! Sappiamo che insegnare l’arte è
impossibile, sappiamo però, per esperienza, che ogni nostro interesse per l’arte
è scaturito da un rapporto diretto con essa, a volte un rapporto personale,
magico, magari solo formale, ma che ha suscitato in noi un sorriso interiore,
il desiderio di guardare diversamente le cose che conoscevamo già, la voglia di
mettersi al lavoro come in una palestra per rinforzare i muscoli della critica
e infine la voglia di perdersi dentro un’avventura.
IL GIORNALE
La verità dell’arte consiste nel fatto che il mondo è
realmente così come appare nell’opera d’arte.
Herbert Marcuse,
da “ La dimensione estetica” 1977
Avviare il confronto, la conoscenza, lo stimolo e la
provocazione reciproca ha evidenziato la necessità di luoghi reali, ma anche di
“luoghi paralleli al reale” capaci per la loro natura immateriale di aprire
spazi inediti di diffusione e conoscenza.
Questo luogo parallelo potrebbe essere quello di una rivista
on-line che possa accompagnare e interrogare permanentemente quei luoghi reali
dove si mostra “l’accadere delle cose”.
Una rivista che potrebbe avere una sua autonomia per
evidenziare che le nostre modalità non sono propriamente quelle di una “agenzia
di servizi artistici”, bensì un terreno aperto di confronto e dialogo.
L’energia che ne scaturirebbe non dovrebbe portarci a
vergognarci neanche della cosa più strampalata che potrebbe venirne fuori.
Sarebbe importante avere la consapevolezza della necessità di un lucido
investimento nell’utopia che è l’unico coraggio che dobbiamo avere in questo
momento (che è già quello che di solito facciamo da soli).
IL MUSEO
…Secondo un’antica leggenda, la cattedrale di Chartres fu colpita dal
fulmine e interamente bruciata. Migliaia di persone giunsero allora da tutte le
parti della terra, come una gigantesca processione di formiche; e tutti insieme
– architetti, artisti, operai, contadini, nobili, preti, borghesi – si misero a
ricostruire la cattedrale dov’era prima, e lavorarono finché la costruzione non
fu ultimata. Ma tutti rimasero anonimi, e oggi nessuno sa chi costruì la
cattedrale di Chartres .…
Oggi l’individuo è divenuto la forma più alta e la più grande rovina della creazione artistica. La più piccola offesa o il più piccolo odore dell’io vengono esaminati al microscopio come se fossero di un’importanza eterna. L’artista considera il suo isolamento, la sua soggettività, il suo individualismo, come cose quasi sacre. E così finiamo per ammassarci in un grande ovile, dove ce ne stiamo a belare sulla nostra solitudine, senza ascoltarci l’un l’altro, e senza renderci conto di soffocarci a vicenda ….
Così, se mi si chiede quale vorrei che fosse il fine generale dei miei film, risponderei che vorrei essere uno degli artisti della cattedrale di Chartres. Voglio trarre dalla pietra la testa di un drago, di un angelo, di un diavolo – o magari di un santo. Non importa che cosa; è il senso di soddisfazione che conta. Indipendentemente dal fatto che io creda o no, che io sia o no un cristiano, farei la mia parte nella costruzione collettiva della cattedrale.
Oggi l’individuo è divenuto la forma più alta e la più grande rovina della creazione artistica. La più piccola offesa o il più piccolo odore dell’io vengono esaminati al microscopio come se fossero di un’importanza eterna. L’artista considera il suo isolamento, la sua soggettività, il suo individualismo, come cose quasi sacre. E così finiamo per ammassarci in un grande ovile, dove ce ne stiamo a belare sulla nostra solitudine, senza ascoltarci l’un l’altro, e senza renderci conto di soffocarci a vicenda ….
Così, se mi si chiede quale vorrei che fosse il fine generale dei miei film, risponderei che vorrei essere uno degli artisti della cattedrale di Chartres. Voglio trarre dalla pietra la testa di un drago, di un angelo, di un diavolo – o magari di un santo. Non importa che cosa; è il senso di soddisfazione che conta. Indipendentemente dal fatto che io creda o no, che io sia o no un cristiano, farei la mia parte nella costruzione collettiva della cattedrale.
Ingmar Bergman, da una
conferenza del regista dal titolo “Arte moderna e soggettività”
Le domande più frequenti riferite a tale istituzione ruotano
spesso intorno ad alcuni temi ormai classici:
1) Il rapporto fra
conservazione e scommessa
2) il ruolo che un luogo
altamente specialistico può avere nel contesto cittadino diffuso.
Questi due temi convivono fra loro e sono inscindibili, la
loro permanenza ossessiva dentro la testa di direttori, curatori, artisti,
ecc., impone una riflessione su quale siano i doveri imminenti di un tale luogo
per l’arte, quale sia il senso della nozione stessa di luogo in riferimento
all’arte, se essa si crei o no in dialogo con uno spazio fisico, se siano
soddisfacenti o no quelle nozioni filosofiche che ci hanno spinto a considerare
i luoghi come paesaggi esclusivamente culturali e non più storici, se infine il
luogo del museo debba declinarsi al plurale, in modo che esso scompaia alla
vista fino a diluirsi nel sociale.
La risposta più naturale a queste domande è che non ci
sia risposta, ovvero che tutto sia praticabile senza gerarchie. Ma siamo certi
di potere continuare a rimandare ad altri (altri chi? Generazioni future –
altre specie viventi – donne e uomini ancora una volta post bellici di una
guerra imminente ….) le risposte che toccherebbe a noi dare?
Il luogo dell’arte dovrebbe collocare l’arte entro un
retroterra spaziale, civile e storico L’atto stesso di collocare e posizionare
deve proporsi poeticamente, quindi non solo collocare e posizionare, ma essere
(per mezzo della poetica) collocato, posizionato.
Si è quindi convenuto di dire: “Il museo è dappertutto”, ovunque lo si ritenga rispondente ad un
desiderio o una logica speciale. Vorremmo che le pratiche espositive e/o di
tipo differente, possano godere del pieno appoggio da parte dei musei cittadini
e statali presenti in città, anche qualora venissero dislocate all’esterno
degli spazi museali stessi.
Attenzione! Dire “Il
museo è dappertutto” non deve però significare “il museo non è da nessuna parte”. Semmai che proprio tutto possa considerarsi luogo
dell’arte.
A.R.I.A.
Artisti romani in assemblea, Roma
2011
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