mercoledì 29 gennaio 2014

TESTO di A.R.I.A. - Artisti romani in assemblea, Roma 2011



IL BAR

Se si vuole la semplicità a tutti i costi, basta scolarsi una bottiglia di Vino rosso.
Paolo Virno, da “Grammatica della moltitudine. Per un’analisi delle forme di vita contemporanea”, 2003
  
  Un luogo d’incontro, stabile e informale dove sperimentare il confronto e la conoscenza reciproca, dove la lingua possa esercitarsi con libertà e ampiezza attraverso incontri in parte programmabili in parte casuali. Il bar è quel luogo dove, per tradizione, la realtà incontra il suo contrario, dove attore e spettatore hanno lo stesso ruolo nella messinscena dell’esilio dell’arte, dove il confine fra rappresentazione e realtà è liquido e velenoso. Si potrebbe creare un posto simile come vero progetto artistico stabilmente ospitato all’interno di una delle istituzioni cittadine per farne un luogo d’incontro costante.

LA SCUOLA

Quando un artista impara troppo bene la propria arte, produce un'arte superficiale.
Sol Lewitt, dal manifesto “Sentences on Conceptual Art”,1969
  
Bisognerebbe creare delle condizioni speciali d’incontro con il nostro pubblico più giovane, a volte giovanissimo. Se siamo capaci di dare alla solitudine una forma credibile coralmente, facendola diventare una forza, vedremmo più chiaramente le nostre debolezze e le nostre forze e sapremmo anche offrirle agli altri come un tesoro.
  Per carità! Nessuna didattica dell’arte! Niente da insegnare e da apprendere! Nessun programma di studio! Sappiamo che insegnare l’arte è impossibile, sappiamo però, per esperienza, che ogni nostro interesse per l’arte è scaturito da un rapporto diretto con essa, a volte un rapporto personale, magico, magari solo formale, ma che ha suscitato in noi un sorriso interiore, il desiderio di guardare diversamente le cose che conoscevamo già, la voglia di mettersi al lavoro come in una palestra per rinforzare i muscoli della critica e infine la voglia di perdersi dentro un’avventura.

IL GIORNALE

La verità dell’arte consiste nel fatto che il mondo è realmente così come appare nell’opera d’arte.
Herbert Marcuse, da “ La dimensione estetica” 1977

  Avviare il confronto, la conoscenza, lo stimolo e la provocazione reciproca ha evidenziato la necessità di luoghi reali, ma anche di “luoghi paralleli al reale” capaci per la loro natura immateriale di aprire spazi inediti di diffusione e conoscenza.
  Questo luogo parallelo potrebbe essere quello di una rivista on-line che possa accompagnare e interrogare permanentemente quei luoghi reali dove si mostra “l’accadere delle cose”.
  Una rivista che potrebbe avere una sua autonomia per evidenziare che le nostre modalità non sono propriamente quelle di una “agenzia di servizi artistici”, bensì un terreno aperto di confronto e dialogo.
  L’energia che ne scaturirebbe non dovrebbe portarci a vergognarci neanche della cosa più strampalata che potrebbe venirne fuori. Sarebbe importante avere la consapevolezza della necessità di un lucido investimento nell’utopia che è l’unico coraggio che dobbiamo avere in questo momento (che è già quello che di solito facciamo da soli).

IL MUSEO

…Secondo un’antica leggenda, la cattedrale di Chartres fu colpita dal fulmine e interamente bruciata. Migliaia di persone giunsero allora da tutte le parti della terra, come una gigantesca processione di formiche; e tutti insieme – architetti, artisti, operai, contadini, nobili, preti, borghesi – si misero a ricostruire la cattedrale dov’era prima, e lavorarono finché la costruzione non fu ultimata. Ma tutti rimasero anonimi, e oggi nessuno sa chi costruì la cattedrale di Chartres .…
Oggi l’individuo è divenuto la forma più alta e la più grande rovina della creazione artistica. La più piccola offesa o il più piccolo odore dell’io vengono esaminati al microscopio come se fossero di un’importanza eterna. L’artista considera il suo isolamento, la sua soggettività, il suo individualismo, come cose quasi sacre. E così finiamo per ammassarci in un grande ovile, dove ce ne stiamo a belare sulla nostra solitudine, senza ascoltarci l’un l’altro, e senza renderci conto di soffocarci a vicenda ….
Così, se mi si chiede quale vorrei che fosse il fine generale dei miei film, risponderei che vorrei essere uno degli artisti della cattedrale di Chartres. Voglio trarre dalla pietra la testa di un drago, di un angelo, di un diavolo – o magari di un santo. Non importa che cosa; è il senso di soddisfazione che conta. Indipendentemente dal fatto che io creda o no, che io sia o no un cristiano, farei la mia parte nella costruzione collettiva della cattedrale.
Ingmar Bergman, da una conferenza del regista dal titolo “Arte moderna e soggettività”

  Le domande più frequenti riferite a tale istituzione ruotano spesso intorno ad alcuni temi ormai classici:
1) Il rapporto fra conservazione e scommessa
2) il ruolo che un luogo altamente specialistico può avere nel contesto cittadino diffuso.
  Questi due temi convivono fra loro e sono inscindibili, la loro permanenza ossessiva dentro la testa di direttori, curatori, artisti, ecc., impone una riflessione su quale siano i doveri imminenti di un tale luogo per l’arte, quale sia il senso della nozione stessa di luogo in riferimento all’arte, se essa si crei o no in dialogo con uno spazio fisico, se siano soddisfacenti o no quelle nozioni filosofiche che ci hanno spinto a considerare i luoghi come paesaggi esclusivamente culturali e non più storici, se infine il luogo del museo debba declinarsi al plurale, in modo che esso scompaia alla vista fino a diluirsi nel sociale.
   La risposta più naturale a queste domande è che non ci sia risposta, ovvero che tutto sia praticabile senza gerarchie. Ma siamo certi di potere continuare a rimandare ad altri (altri chi? Generazioni future – altre specie viventi – donne e uomini ancora una volta post bellici di una guerra imminente ….) le risposte che toccherebbe a noi dare?
   Il luogo dell’arte dovrebbe collocare l’arte entro un retroterra spaziale, civile e storico L’atto stesso di collocare e posizionare deve proporsi poeticamente, quindi non solo collocare e posizionare, ma essere (per mezzo della poetica) collocato, posizionato.
  Si è quindi convenuto di dire: “Il museo è dappertutto”, ovunque lo si ritenga rispondente ad un desiderio o una logica speciale. Vorremmo che le pratiche espositive e/o di tipo differente, possano godere del pieno appoggio da parte dei musei cittadini e statali presenti in città, anche qualora venissero dislocate all’esterno degli spazi museali stessi.
  Attenzione! Dire “Il museo è dappertutto” non deve però significare “il museo non è da nessuna parte”. Semmai che proprio tutto possa considerarsi luogo dell’arte.

A.R.I.A.
Artisti romani in assemblea, Roma 2011

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