In
preparazione della giornata di riflessione sul tema “Arte
e Stato”,
che la Consulta per l’Arte
Contemporanea Roma ha deciso di organizzare, vi inviamo un primo testo redatto
da Alfredo Pirri e Stefano Velotti che spiega le ragioni della nostra proposta.
Questo
testo è
un invito a tutti voi a collaborare alla riflessione, inviando a vostra volta
dei testi e delle proposte che saranno utili a creare una sorta di primo ragionamento
collettivo sul tema. Potete postare direttamente le vostre idee sulla nostra
pagina Facebook “Consulta Roma”,
e anche inviandole all’indirizzo consultarteroma@gmail.com.
Grazie
come sempre per la vostra attenzione e partecipazione.
Il
Consiglio della Consulta Arte Contemporanea Roma.
Appunti per un convegno su
Arte e Stato
La politica -
quella che governa - ogni tanto si ricorda dell'arte, che è stata,
permanendo, la sua lingua fondamentale. La pratica, privata e collettiva, che
ha generato lo Stato (quello attuale, ipotetico o futuro). Un’idea di Stato
non da intendersi brutalmente come somma delle istituzioni politiche più i cittadini
che ne abitano i confini geografici, ma azione dinamica che prende forma grazie
all’interrogazione
permanente che l’arte in
primis ha saputo mettere in opera, affidandosi il compito di rendere
plasticamente visibile il concetto, altrimenti astratto di Democrazia.
Ultimamente questo rapporto oscilla tra due poli, entrambi schiacciati sull’immagine del
solo profitto economico: “con la cultura non si mangia”, da un lato,
“la cultura è il petrolio
italiano”, dall’altro.
Una
discussione seria sul rapporto tra lo Stato e quel che chiamiamo 'arte
contemporanea' (che della cultura è solo un aspetto ma imprescindibile ed esemplare) deve
partire dal rifiuto di questo piano del discorso. Un piano che ignora del tutto
il ruolo fondativo che l’arte ha nella nostra civiltà, sia a proposito del linguaggio comune, sia alla simbolizzazione
della libertà personale.
Oggi, infatti, si è diffusa nel senso comune la sensazione che occorra quasi
scusarsi se si parla di arte e cultura, salvo che non si aggiunga subito che
"la 'cosa' avrà una ricaduta economica", come se solo con questa
clausola si saprebbe di cosa si starebbe parlando. Al contrario, il profitto
(inteso sia in senso economico, sia politico) è estraneo alla sfera dell'arte e della cultura – proprio com’è e deve
essere estraneo a quello dell'amministrazione della giustizia o della tutela
della salute -, né è
necessariamente il fine ultimo delle esistenze individuali di ciascuno, di una
nazione o di una comunità, europea o di altro genere. L’arte opera, al contrario, in equilibrio sempre dinamico e
provvisorio sul crinale fra rappresentazione e critica dell’esistente.
Non è questo
medesimo equilibrio, in fondo, a essere servito da modello alla cosiddetta “rappresentanza
politica”? Trattare l’arte in una
prospettiva di ritorno (o non-ritorno) economico, non è forse
rimuovere la questione centrale della rappresentanza, negando al tempo stesso l’elemento
perturbante e scompaginatore della realtà che è proprio dell’arte?
Bisogna avere
il coraggio di passare per ingenui o arroganti, di fronte ai sorrisi di
sufficienza o alle pacche istituzionali sulle spalle di chi crede di saperla
lunga e di essere 'realista', ma che invece non sa semplicemente di cosa parla. Certo: il pane per tutti! Ma neppure il riconoscimento di
questo primato del pane sarà possibile in una società che accetta come dato di senso comune il primato totalizzante
del mercato, la colonizzazione economica di tutte le sfere della vita, e la
riduzione della sfera artistica e culturale a intrattenimento di lusso, o a
'evento' per le masse, o ad attrazione turistica, o a 'risorsa da valorizzare'.
Se l’istituzione
principale (lo Stato) permane in questa logica, si allontana pericolosamente dal
patto popolare su cui esso stesso si fonda: "La Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio
e il patrimonio storico e artistico della Nazione" (art. 9 della
Costituzione Italiana.) Di conseguenza, gli uomini e le donne che primariamente
rappresentano lo Stato, ponendosi fuori da questo patto, fanno sì che ogni
vincolo di rappresentanza rischi di sciogliersi come neve al sole e insieme
alla rappresentanza si sciolga anche ogni dibattito o pratica culturale e
sociale finalizzata ad analizzare la crisi della democrazia e della sua
probabile fine imminente. Vincolare
l'attività artistica al
profitto sarebbe come vincolarvi l'amministrazione della giustizia: in entrambi
i casi è evidente che
si produrrebbe solo corruzione il rapporto tra lo Stato e l'arte non può essere un
rapporto fondato sulla corruzione (delle persone e del linguaggio).
Se le cose
stanno così, questo
convegno sarà l'occasione
di far valere la nostra sovranità di cittadini (art. 1 della Costituzione) e di esigere dalle
istituzioni che non generino e non sostengano la corruzione.
Nel convegno
si potranno affrontare dunque questioni di principio, che sgombrino il campo
dai luoghi comuni più triti e degradanti, entrati ormai nel senso comune e anche
questioni concrete, come la situazione dei Musei d’arte
contemporanea, la loro gestione e il loro ruolo, ricordandoci sempre che l'arte
e la cultura non nascono a comando (e se nascono così, nascono
molto male), ma necessitano però di condizioni che ne rendano possibile lo sviluppo: luoghi
d'incontro, luoghi pubblici o aperti a tutti in cui sia possibile ritrovarsi, discutere,
darsi tempo.
Parlare del
rapporto tra Stato e Arte significa allora parlare anche della riappropriazione
delle nostre piazze, dei luoghi e degli edifici in cui ritrovarsi, sedersi,
passeggiare, conversare, progettare. Le nostre piazze sono diventate invece
infrequentabili, mangiatoie per turisti 24 ore su 24. Questi luoghi sono parte
della nostra eredità culturale, delle nostre forme di vita e della nostra prassi,
e devono essere riqualificate e rii-modellizzate. Vogliamo degli spazi in cui sia
possibile imparare dai nostri migliori artisti, curatori, critici, filosofi,
storici, scrittori, registi, almeno da quelli che vorranno mettersi in gioco, uscendo
ogni tanto dall'asfittico "sistemino dell'arte".
Ogni proposta
che ambisca a costruire o ricostruire un tessuto culturale e artistico ormai
consunto e calpestato, è benvenuta. Tali proposte possono situarsi a livelli diversi:
politico, amministrativo, urbanistico, edilizio, etc. Possono riguardare una
molteplicità di casi o un
caso singolo, un sistema o un suo elemento. Abbiamo il diritto e il dovere di
ridare ossigeno, piacere di vivere e ricchezza immateriale alla nostra città, a noi
stessi e a tutti quelli che lo vorranno, e di mettere in croce chi ha accettato
ruoli istituzionali per ricostruire e custodire questo prezioso tessuto.
Alfredo Pirri e Stefano Velotti
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